Pasqua in Calabria: il rito delle Pupazze a Bova

Ci sono luoghi, in Calabria, che parlano una lingua antica e raccontano una storia fatta di tradizioni, di arti e mestieri, di religioni.

C’è una perla d’Oriente, incastonata tra le montagne d’Aspromonte, c’è un’area ancora fortemente greca nell’anima.

Stiamo parlando delle ultime pendici del Parco Nazionale d’Aspromonte, a sud del sud Italia, della parte più remota e sconosciuta della Calabria.

Stiamo parlando dell’Area Grecanica, un territorio che conserva gelosamente la cultura greca e dove l’eco del passato risuona ancora forte e chiara.

Bova, la capitale dei greci di Calabria

In questo magnifico territorio, c’è un luogo che è entrato a far parte dei Borghi più belli d’Italia e ha ottenuto la bandiera Arancione del Touring Club, ma che soprattutto entra di diritto nel cuore di tutti i visitatori che timidamente arrivano ad oltre 800 mt di altitudine e intraprendono questo viaggio dell’anima.

Siamo a Bova, un comune di circa 400 abitanti della Città Metropolitana di Reggio Calabria, spesso erroneamente definito Bova Superiore, per fare una distinzione con il vicino comune di Bova Marina.

Ma non chiedete a un bovese di accompagnarvi a Bova Superiore, potreste indispettirlo! Per gli abitanti del luogo, lo spirito di appartenenza e l’amore verso il loro paese, li spinge a difendere con forza l’appellativo Bova, unico e solo borgo con questo nome.

Bova è stata definita la “Capitale dei Greci di Calabria”, il punto focale di tutta l’Area Grecanica, il riferimento per chi decide di trascorrere qualche giorno in questa terra ricca di storia, di paesaggi mozzafiato e di sentieri tutti da scoprire, che si diramano da qui in gran parte del territorio del Parco d’Aspromonte.

I greci di Calabria

Diverse sono le teorie in merito alla lingua e al rito greco, rimasti a Bova fino ai tempi moderni, ma ci pensò Gerhard Rohlfs, il glottologo tedesco, nei primi decenni del ‘900 a mettere ordine nel fiume di parole che si bisbigliavano quasi con vergogna tra i pastori del luogo.

Fino a quel momento, infatti, si pensava che la lingua greca, trasmessa oralmente tra le persone più povere e meno colte, fosse una rimanenza della dominazione bizantina.

L’archeologo delle parole Gerhard Rohlfs, durante i suoi numerosi viaggi in Calabria, si travestì da antropologo e condusse dei veri e propri scavi linguistici, per scoprire che i termini dorici rimandavano in realtà a una lingua ben più antica: il greco dei padri, la lingua di Omero.

Questo chiaramente generò dissenso, soprattutto tra i linguisti del ventennio fascista che sostenevano il culto della grande Roma e non accettavano che i loro idoli avessero dimenticato (o non fossero stati capaci) di latinizzare un’area dell’Impero.

Grazie alle tesi di Rohlfs tutto ciò oggi viene accettato, ma ciò che fondamentalmente riuscì a compiere il glottologo fu invertire la rotta, ridare dignità a un popolo e a una lingua che oggi fa parte del Registro delle minoranze linguistiche. Non un dialetto dunque, ma una vera e propria lingua, un universo di simboli e significati che racchiudono l’identità di un popolo.

Ma di greco, a Bova non ci sono solo i nomi sui cartelli turistici. A Bova resta una tradizione culinaria, strettamente legata alla ritualità e all’universo greco. Resta la filoxenia, l’accoglienza e l’amore per lo straniero, la capacità di farvi sentire a casa, in ogni momento.

Ed essenzialmente greche sono anche le feste e le celebrazioni, come quella della domenica delle Palme, che affonda le radici addirittura nei misteri eleusini.

Il rito delle Pupazze a Bova

 

Entriamo a Bova, parcheggiamo la macchina e ci lasciamo guidare dall’atmosfera di festa che già riempie piazza Roma.

Qualche passo e siamo davanti alla Chiesa di Santa Caterina, dopo aver attraversato la Porta di Sant’Antonio, costruita dai baroni Nesci di Sant’Agata per collegare il loro palazzo ad uno sperone di roccia.

Dopo qualche minuto, nel piazzale antistante la chiesa arriva un tripudio di colori e profumi in processione. Sono loro, le Palme di Bova, definite anche volgarmente Pupazze o Persephoni. Per i Bovesi, però, sono molto di più.

Si tratta di figure antropomorfe, realizzate con una struttura in canne, arricchita con steddhi (ramoscelli) di ulivo intrecciati e decorate con fiori, frutti di stagione, nastri e il tipico musulupu, formaggio, molto simile a un primo sale, plasmato con particolari stampi che ricordano forme femminili molto accentuate, simbolo di fertilità.

Ci sono due figure, una più grande e una più piccola: sono Demetra, la mamma e Persephone, la figlia.

Demetra e Persefone, le dee della Magna Grecia

Sono le dee che maggiormente venivano venerate nelle polis della Magna Grecia e che a Locri avevano addirittura due culti distinti e due santuari.

Sono il simbolo della primavera che rifiorisce, del risveglio della terra e dell’abbondanza e fertilità del suolo. Sono greche, sono bovesi. Rappresentano un passato agropastorale, un mondo dettato dalla ciclicità delle stagioni, scandito dall’alternarsi di pioggia e sole, dal continuo viaggio di Persephone tra l’Olimpo e l’Oltretomba.

Demetra è madre, è triste per aver perso sua figlia, rapita da Ade. Persefone è figlia, è fanciulla, è kore, che si trova a doversi dividere tra due mondi, con la precisa responsabilità di far rifiorire tutta la terra.

Le Palme vengono benedette, le religioni si incontrano, si uniscono. La processione parte, si snoda e si inerpica tra le viuzze di Bova, fino a raggiungere la Concattedrale dell’Isodia, la Madonna della Presentazione.

Bova e il Musulupe 

Le Palme entrano in chiesa, a seguito del sacerdote, il culto pagano fa ingresso nel tempio cristiano per eccellenza, lì dove alla fine del 1500 crollò l’ultima roccaforte del rito greco e si iniziò a praticare il rito latino.

Lì dove la statua cinquecentesca della Madonna con Bambino di Rinaldo Bonanno sostituì le icone, oggi le Palme siedono in prima fila. Tutto parla di unione, di sincretismo religioso, di colori vivaci che illuminano la Cattedrale.

La messa finisce e le palme tornano in piazza, dove vengono smembrate e dove ognuno fa a gara per accaparrarsi un ramoscello di ulivo. Come da tradizione, una degustazione di “musulupe” e “ngute” rigenera il corpo e la mente.

La festa si avvia alla fine, ma nel cuore di chi vi prende parte resta la bellezza di una storia senza tempo, di una tradizione e di una fede incrollabili, di un senso di appartenenza che va oltre i confini della religione.

Se siete curiosi di visitare Bova, la Capitale della Bovesìa, contattateci, vi faremo scoprire una Calabria Straordinaria. Se questo nuovo viaggio nelle tradizioni calabresi ti è piaciuto, CONDIVIDILO oppure LASCIA UN COMMENTO. Grazie!!!

Autore – Alessandra Moscatello

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Guida turistica abilitata in Calabria. Vi porterà alla scoperta della Provincia di Reggio Calabria e dei meravigliosi borghi sulla Riviera dei Gelsomini.

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